Salita Comino-Grassi alla Punta Grassi 3352mt

11 Lug 2023 | Articoli e racconti, News & Articoli

La parete della Mezzenile mi riappare nelle tonalità più intense”

G.C. Grassi

Un’avventura sulla lontana parete della Mezzenile, un luogo fantastico ed appartato, una lunga giornata raccontata da Emilio Sibille: la ripetizione della via Grassi-Comino

la parete

 

Salita Comino-Grassi alla Punta Grassi 3352mt

Di Emilio Sibille

sul Mulinet

Sono di ritorno da Corso Unione Sovietica, luogo in cui ha sede l’Università di Economia di Torino, quando, sotto il sole diretto di mezzogiorno, il traffico mi imbottiglia. Nell’attesa ho modo di pensare al week-end che si avvicina, le previsioni promettono bene in diverse zone delle alpi, sta a noi decidere dove andare. Luca E. ha due proposte Wenden o Monte Bianco, due dei luoghi più caratteristici delle alpi. Il tutto però viene surclassato dalla proposta di Teo: la ripetizione della Comino-Grassi alla punta Grassi, un torrione che poggia sulla cresta di Mezzenile.

sulla via

Il Bacino della Gura, quello su cui si posano tutte le pareti della Cresta, è fra gli spazi più isolati delle alpi occidentali e della Val Grande. Ho avuto la fortuna di iniziare a frequentare la val di Sea circa tre anni fa, ad ogni passaggio da Forno la mia attenzione cadeva su quei picchi capaci di raggiungere i 3400 mt. La difficoltà di reperire informazioni ha reso il tutto più misterioso portandomi a pensare che se un luogo, per quanto possa essere magnifico ed evidente agli occhi di tutti, non è frequentato, allora c’è sicuramente un motivo. L’ingaggio notevole non ha nulla da invidiare ad ambiziose salite sui grandi Massicci.

l’autore in primo piano

Accordata la meta, il gruppo, composto da Luca e Matteo Enrico, Luca Brunati, Simone Bovo, Claudio Pajola e Me si dà appuntamento per sabato pomeriggio al Rif. Daviso, l’unico punto di appoggio oltre al Biv. Ferreri. Partiamo con un assetto sfalsato: Brunati parte in mattinata con l’intento di godersi una giornata di pieno sole, io e Simone partiamo alle due di pomeriggio da Forno, mantenendo un leggero ritardo rispetto ai fratelli e a Claudio che, essendo partiti in orario, ci precedono.

vista sulla valle

Da Forno ci aspettano circa 2:30h di camminata, nulla rispetto a ciò che ci riserverà l’avventura di domani. Il ritorno in questi luoghi mi estrania dalla quotidianità cittadina e universitaria. Il croscio dei ruscelli alimentati dal ritiro delle nevi anima la vallata e, come delle vene capillari, mantengono viva la flora e la fauna della montagna, il cuore della vita alpina.

studiando nuovi itinerari

Ad ogni corso d’acqua ci fermiamo, rinfreschiamo il nostro corpo e assaporiamo la purezza di queste fonti provvidenziali. Trascorsa mezz’ora di cammino raggiungiamo Teo e Claudio lungo il sentiero e passate le 16:30 raggiungiamo tutti il rifugio. Da qui abbiamo modo di consultarci su come affrontare la discesa nel modo più sicuro possibile. La prima alternativa è passare dal colle di Santo Stefano, battezzato così a causa delle frequenti scariche. Il canale che passa dal colle però, causa dell’elevato innevamento, non sembra attraversabile.

verso l’attacco

La seconda opzione, la stessa descritta da Grassi, consiste nel raggiungere e scendere il canale tra il Dent D’ecot e la Punta Groscavallo, ma le condizioni di questo pendio sono visibili solo dopo aver raggiunto il ghiacciaio del Mulinet, vicino all’attacco della via, dunque non visibile dal rifugio. La terza scelta, nonché la più lunga e sicura, è calarsi con delle doppie sul ghiacciaio francese del Grand Mèan e raggiungere la Cime du Piatou dalla quale è possibile percorrere la val di Sea fino a Forno.

ancora notte

Vanno considerate 7-8h di cammino. Mio padre, Sergio Sibille, nel 2006, in compagnia dei Fratelli Enrico, salì Punta Corrà e intraprese la terza scelta, la discesa da Sea; quindi, godendo di una testimonianza diretta, ebbi fin da subito le idee chiare sulla qualità e l’impegno alpinistico esatto di quest’avventura.

all’attacco

Le doti da arrampicatore non sono sufficienti, non bastano, sono marginali in questi luoghi. Il tratto di arrampicata rappresenta la parte più piacevole dell’ascensione, la roccia molto solida in alcuni tratti e a sfasciumi in altri, pretende accortezza e un ponderato tocco di velluto per impedire la caduta di sassi, il rischio più concreto.

Chiacchieriamo e apprezziamo il paesaggio fino alle 19 circa, ora in cui ci viene servita la cena che, grazie alla competenza dei cuochi, ci sazia in abbondanza. Il sole è ormai calato, mi godo un’ultima sigaretta ammirando l’arrivo delle prime stelle. Il cielo è limpido, confido sul fatto che domani sarà colmo di stelle capaci di intrattenerci lungo l’avvicinamento.

La notte passa in fretta ma con qualche complicanza, l’unica stufa del rifugio ha diffuso calore a massimo regime facendo raggiungere temperature equatoriali in tutto il locale ed io, ancora vestito con un assetto adatto per un ambiente alpino, non ho quasi avuto modo di dormire. La sveglia suona alle 2, cercando di mantenere il silenzio terminiamo la colazione e iniziamo a marciare.

La notte è tersa di stelle. Alzare lo sguardo apre in me il flusso di coscienza. Mi domando come può l’uomo, nella sua insignificanza cosmica, insistere con tenacia e perseveranza ad assegnare un senso a ogni cosa, anche alle azioni più sterili e individuali. Con passo deciso raggiungiamo il ghiacciaio, ci imbraghiamo, mettiamo i ramponi e risaliamo la lunga rampa di neve che porta all’attacco.

Il bacino, visto dall’interno, con le sue maestose pareti, assume le sembianze di un anfiteatro alquanto ostile. Il nevaio mostra segni evidenti di frane e crolli e, durante la salita, abbiamo modo di constatare che queste cadono con frequenza. Il pilastro Castagneri si eleva elegante e insensibile, tuttavia, baciato dall’aurora, è reso più roseo e animato. Alle 6,20 giungiamo all’attacco e alle 7 siamo tutti in parete.

La via risulta più complicata rispetto alle dichiarazioni di Grassi, la parte iniziale non è intuiva, infatti, dopo aver scalato qualche tiro di corda, ci rendiamo conto di aver sbagliato un paio di lunghezze. Il torrione sommitale offre una scalata splendida ma bisogna porre attenzione all’instabilità delle prese però, tolta questa pecca, la roccia assume un colore rossastro e offre un ottimo attrito. Ed ecco che passate 5 ore in parete raggiungiamo la punta. La vista offre un paesaggio unico, al di fuori di ogni contatto umano. Il versante francese si presenta come una rampa di sfasciumi con terra, massi instabili e macchie di neve che, a causa delle forti raffiche di vento, sollevano veloci cristalli che ci colpiscono in viso.

sul ghiacciaio francese

La discesa dal lato francese è molto delicata e per il nostro gruppo, composto da sei persone, non è stato facile evitare la caduta di sassi nel canale. Teo attrezza quattro formidabili doppie che ci permettono di arrivare sul ghiacciaio, la parte più psicologica è finita, ora ci toccano 7-8h di cammino. La discesa è lunga, eterna ma l’ambiente rende il tutto più sopportabile.

 

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https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/quota-3352m-della-cresta-mezzenile-denominata-anche-p-ta-grassi/

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