“Polvere di Stelle, quarant’anni”
La storia del bouldering nel vallone di Sea
di Marco Blatto
con contributi di Marco Casalegno e Giorgio Milano
Le Antiche Sere
Estate 1982. Da molte ore un’auto è parcheggiata nella piazzetta di Forno Alpi Graie, quella dedicata al Professor Girardi, che nei primi anni del Novecento divise la sua passione per la scienza medica con quella dell’alpinismo sulle montagne della Val Grande. Questa lunga permanenza dell’auto desta la preoccupazione di alcuni villeggianti della piccola frazione posta ai piedi della testata terminale della valle, all’imbocco dei valloni di Sea e di Gura. In realtà non ci sarebbe nulla di strano sennonché, all’interno, sedile di guida abbassato, vi è un uomo che apparentemente dorme. Nessuno ha il coraggio di bussare ai vetri dell’auto. La cosa migliore è andare a chiamare Pietro, al Bar Ristorante Savoia, lui saprà certamente cosa fare.
Lo storico Bar – Pensione Savoia, come fu alll’incirca fino al 1990
L’Albergo Savoia si trova poco distante, al termine del paese. Vi si accede tramite una piccola porticina esposta a nord che da direttamente sulla strada, e una volta entrati sembra d’un tratto di trovarsi in un’altra epoca. Il locale del bar è piccolo, bordato a mezzo muro con una perlinatura di legno scurita dal tempo e dal fumo degli avventori. Sul fianco destro del locale, un magnifico bancone ottocentesco di legno intarsiato, con elementi di madreperla, non può che colpire immediatamente l’attenzione di chi entra. Dietro il bancone vi è di solito la signora Ines Teppa, sempre distinta nella sua semplicità, con la camicetta bianca che, seppur coperta da un maglione di filo scuro, s’intuisce dal lindo colletto appuntito che vi spunta. I capelli, bianchissimi, sono raccolti in modo ordinato. Ricorda, in quegli anni, l’attrice Carla Monti, la “Nonna” della pubblicità della candeggina ACE. Per questo è soprannominata, specialmente dagli scalatori, “Nonna Ace”. Il marito di Ines, Domenico “Mini” Gerardi, è stato un grande cacciatore e Gian Carlo Grassi, guida alpina condovese che in Val Grande di Lanzo e specialmente qui al Savoia è di casa, gli dedicherà una breve via all’Antro Nero: “Mini del Savoia”.
Dividersi i compiti del bar e dell’albergo spetta alla figlia Giustina, una donna apparentemente di poche parole, addirittura severa di primo impatto. Le prime volte, un po’ per inquadrarti, ti guarda con quegli occhi celesti penetranti che mettono un po’ di soggezione. Anche lei, sempre grazie una suggestione di Gian Carlo, si è guadagnata un soprannome tra gli scalatori: “Signora occhi di ghiaccio”. Ma sto divagando. C’è sempre quella macchina là in piazza ferma da ore, con un uomo all’interno. «C’è Pietro?», chiede un villeggiante entrando nel piccolo locale. «Si, è appena arrivato. Adesso lo chiamo»”, risponde gentilmente “Nonna Ace”. Pietro, anch’egli figlio della signora Ines, lavora fuori dalla valle ed essendo tardo pomeriggio è appena arrivato. Anche lui è un uomo di poche parole e quando giunge nel bar richiamato dalle grida della madre, dall’uscio che dà sul giardino retrostante, sembra un po’ scocciato. «Pietro, dovresti venire in piazza, c’è una macchina ferma lì da ore, con un uomo all’interno, immobile». Quando c’è qualcosa che non va, un’emergenza, spesso tutti si rivolgono a Pietro. E’ stato capostazione del soccorso alpino e ha diretto diversi interventi su quelle montagne. A dire il vero Pietro non pare essere turbato da quella curiosa notizia. Scende brevemente nella piazza, riconosce l’auto e bussa al vetro: «Gian Piero! Tutto bene?». L’uomo all’interno, ha un piccolo sussulto, poi, stropicciandosi gli occhi e rimettendosi gli occhiali, tira giù il vetro del finestrino. «Ciao Pietro, sei tu? Si tutto bene, mi ero assopito un attimo». Gian Piero Motti di ritorno dal Vallone di Sea, si ferma spesso così nell’auto. Un comportamento strano per chi non lo conosce bene, non c’è che dire. Del resto, come possono degli estranei essere nella mente di Gian Piero, quando gli stessi amici, quelli più stretti, in quel periodo, faticano un po’ a riconoscerlo? Gian Piero in realtà dorme poco ed è dunque più che normale che, di ritorno da un’escursione nel vallone, da solo, ami poi assopirsi, magari spegnendo lentamente quei pensieri e quelle “visioni” che l’hanno divorato solo poche ore prima. Sono tanti i giorni che Motti passa in Sea, in quegli anni, ma non per arrampicare. Egli è scenografo e sceneggiatore di un teatro roccioso, dove gli attori protagonisti in quel momento sono altri: Ugo Manera, Isidoro Meneghin e Gian Carlo Grassi in particolare. Un mondo di pietra e di pareti in buona parte ancora da esplorare. Gian Piero osserva, crea, battezza ogni singola roccia con nomi che trae dalle sue letture, complesse e ricche di significati simbolici, ma che hanno una stretta attinenza con la forza evocativa di quelle rocce. Gian Piero Motti crea un paesaggio, come un romanziere tesse una storia e un artista anima lo spazio bianco di una tela oppure sgrossa un blocco di marmo. E’ il periodo che sarà chiamato delle “Antiche Sere”, specularmente opposto al precedente “Nuovo Mattino”.
Gian Piero Motti
Al pianoro del Massiet, dove ama stare sdraiato rivolgendo lo sguardo verso l’alto entrando le pieghe della montagna, sono disseminati dei massi di varia cubatura e forma. Alcuni sono di origine erratica, trasportati dal grande ghiacciaio di Sea nell’ultima glaciazione, altri sono precipitati dalle pareti circostanti sotto la millenaria azione delle acque e del gelo. Sembrano frammenti luminosi di grandi corpi astrali e così Gian Piero battezza quel luogo “Polvere di Stelle”. Motti, in quell’anno 1982, arrampica molto poco sulle pareti e le sue uscite in verticale sono per lo più limitate ai sassi. Una vecchia passione quella del “sassismo”, che fin dalla metà degli anni settanta l’ha rapito. Scalare sui massi gli ricorda i primi passi d’arrampicata compiuti da giovanissimo a Roc dou luu (Masso del lupo), il piccolo blocco roccioso posto nei prati di fronte a casa a sua, a Breno. Del resto, le “Antiche Sere” sono essenzialmente un ritorno alle radici. In Val Grande, Motti in quel periodo si accompagna spesso a un giovane arrampicatore talentuoso, molto forte specialmente sui massi e nei brevi passaggi difficili. Marco Scolaris, anch’egli villeggiante estivo a Chialamberto, traccia con Gian Piero numerosi passaggi sui blocchi della frazione Balme di Cantoira, poi, al masso più grande del Massiet, l’Asteroide, sale slegato lo spigolo che ne delimita la facciata est. Sono 12 metri di hig-ball con i piedi in pura aderenza, su uno gneiss levigato dal passaggio glaciale.
Polvere di stelle 1984
In quell’estate del 1982, quella in cui Gian Carlo Grassi apre la via “Sogno di Sea”, simbolo di un periodo che sta per sostituire le “Antiche Sere”, Marco Casalegno ed io siamo più attenti alle salite lungo le vie normali delle montagne delle Valli di Lanzo, decisi a fare esperienza su neve e ghiaccio. Il Vallone di Sea è dunque solo un punto di passaggio. Sono i massi di Cantoira a costituire, semmai, insieme agli affioramenti rocciosi poco sopra la strada provinciale, la nostra palestra per la roccia. Nel 1983 l’interesse per l’arrampicata si fa più consistente e, specialmente Marco, dimostra una particolare abilità sui passaggi di dita e di forza. Gian compare spesso ai massi di Cantoira, specialmente la sera, da solo o con Vincenzo Pasquali. Qualche volta con Marco Scolaris.
1984 M.Casalegno su ‘Super Maestria’ 6a+ Polvere di Stelle
Per noi, apprendisti, è uno spettacolo vederli ribaltare sopra gli strapiombi con una certa leggerezza, non di rado aiutata dalla loro statura. Poi, in una sera di giugno, il giorno del solstizio, il “Principe” se ne va, lasciando tutti attoniti. “Morto Gian Piero Motti il poeta della montagna”, titolerà Stampa Sera. L’estate successiva, con Marco Casalegno, decidiamo di salire al Massiet e di segnare per la prima volta un circuito organico, dedicandolo proprio a Gian Piero Motti. Lascio a Marco Casalegno il ricordo di quel biennio magico e delle nostre “Antiche Sere”.
“Il vallone di Sea, per tutti i frequentatori della Val Grande di Lanzo, sino all’inizio degli anni Ottanta, era null’altro che un vallone lungo, molto lungo, ombroso, con pareti alte e conosciuto da escursionisti ed alpinisti per avere un bivacco posto a oltre tre ore di cammino da Forno Alpi Graie. Per i più talentuosi, all’epoca, serviva come base di parenza per la salita alla Parete Nord dell’Uja di Ciamarella.
Il pianoro del Massiet con i massi della sponda sinistra idrografica
Io, come tanti altri ragazzini, in quegli anni risalivo il vallone con i genitori e gli amici, sicuramente sino al bivacco e se le condizioni della neve e del tempo lo permettevano, per poi proseguire la salita sino al Colle di Sea. Qui terminava il vallone e dunque anche la nostra fatica. Il ricordo che riemerge da quelle lunghe giornate trascorse nel vallone è di gite epiche, faticose, tra nebbie e temporali che immancabilmente sopraggiungevano nel pomeriggio, a creare ancor più apprensione e che t’inzuppavano di acqua le calze di lana. Il risultato era che gli scarponi ti regalavano delle belle vesciche nei piedi.
In quegli anni un caro e fidato amico di escursioni era Marco Blatto. Con i nostri rispettivi genitori anche noi non potevamo sfuggire alla classica salita annuale nel vallone. Si partiva da Forno alle prime luci dell’alba e dopo una quarantina di minuti si arrivava al primo pianoro quello di Balma Massiet. Per lo più si risaliva ancora quel tratto all’ombra, il sentiero ancora intriso della rugiada della notte e le nostre menti di fanciulli ancora addormentate. Ognuno era nella sua bolla. I nostri genitori, rispettosi del nostro silenzio, procedevano con passo cadenzato senza “strappare”, in modo da non svegliarci.
Polvere di stelle M.Casalegno su ‘Sulle tracce del maestro’ 5+ 1984
Il sentiero lo conoscevamo a memoria e ben sapevamo che la fine della rampa che conduce al pianoro di Balma Massiet, coincideva con un passaggio obbligato tra due massi, che sembravano messi appositamente lì per fungere da porta d’ingresso nel pianoro (il passaggio della Coupe).
Passarono alcuni anni e la curiosità di scoprire qualcosa di nuovo della montagna ci portò a iniziare la scoperta della scalata. Nei primi anni Ottanta solo alcuni parlavano di arrampicata, di free climbing; tra questi sicuramente vi furono in quel periodo Gian Piero Motti e Marco Scolaris che frequentavano regolarmente i Massi di Balme nei pressi di Cantoira (dove noi trascorrevamo le vacanze estive). Così iniziò una frequentazione assidua dei massi. Non avevamo ancora le scarpette da arrampicata e usavamo le stesse che poi, la sera, avremmo usato per giocare a pallavolo. Ma intanto si arrampicava, si migliorava e si s’imparava guardando molte volte, timidamente e da lontano, chi già sapeva muoversi con forza ed eleganza sulle rocce di Balme.
Passarono alcuni anni, per motivi diversi con Marco ci si ritrovava a scalare di meno insieme, ma tutte le volte nasceva qualche idea. Fu così che una sera Marco mi domandò se ricordassi quei massi posti all’inizio del pianoro di Balma Massiet. Sapeva che Gianpiero Motti li aveva denominati “Polvere di stelle” e che sarebbe stato interessante andare a farci una visita per vedere di tracciare un circuito di passaggi. I massi, è vero, li ricordavo, ma nulla più. Negli ultimi anni ero salito poche volte nel vallone e quasi sempre solo per scalare allo Specchio di Iside. Era il 1984, anno dell’apertura di “Seta di Venere” con Maurizio Oviglia. Il vallone in quel periodo per me finiva li. I massi, quindi, erano solo un vago e sbiadito ricordo delle lunghe gite di quasi dieci anni prima.
Gias Nuovo, M.Blatto sullo ‘Spigolo di Napoleone’ 6a
Luglio 1984. Marco ed io risaliamo il vallone come ai vecchi tempi, ma questa volta la nostra camminata finisce molo ma molto prima del Bivacco Fassero – Soardi (all’epoca ancora solo Soardi). Lo scopo della “gita” era solo quello di andare a visionare quei massi e provare a tracciare un circuito, che forse già Giampiero Motti aveva già iniziato senza però lasciarne traccia alcuna.
E cosìm pian piano, in tre giornate di lavoro, di tentativi, di pulizia e di “bollinatura” con le piccole frecce bianche, nacquero i primi facili passaggi del circuito di Balma Massiet denominato “Polvere di stelle”, dedicato a Gian Piero Motti.
Un circuito che poi negli anni successivi fu ripreso e ampliato grazie alla caparbietà di Marco, profondo conoscitore e amante di queste rocce del vallone, che diede così vita ad altri settori con passaggi di rara bellezza completando una storia che forse riserverà ancora qualche capitolo in futuro.”
Il primo storico meeting di Sea, presso il Masso dell’Asteroide nel 2009
In effetti, in quel luglio del 1984, realizzammo per la prima volta un circuito organico al pianoro del Massiet, nominando i passaggi in modo forse un po’ ingenuo, ma certamente ispirati dai nomi curiosi che avevamo letto negli anni precedenti sulla guida di Gian Carlo Grassi: “Sassismo, spazio per la fantasia”, pubblicato nel 1982. Proprio grazie a quel libro, nell’autunno del 1983, eravamo andati a Pera Filibert, vicino ad Avigliana e al Masso Casalegno del Pozzetto, a Rivoli. In Sea, in quell’estate fecero bella mostra le mitiche scarpette d’arrampicata E.B. e le Canyon Chouinard, con l’abbigliamento estivo di quegli anni: calzoncini corti “Adidas” e l’immancabile fascia nei capelli, retaggio degli ultimi aneliti di un look nostrano da free-climber, mentre l’arrampicata sportiva e i pantacollant aderenti erano alle porte. Dopo quell’estate anch’io lasciai un po’ da parte i sassi. Alla fine degli anni Ottanta divisi il mio tempo tra lo studio, il servizio militare e l’attività come istruttore di alpinismo al Cai-Uget. Quando nella primavera del 1988, uscì “Sogno di Sea” di Gian Carlo Grassi, la bella e ormai introvabile guida delle arrampicate del Vallone di Sea, di cui Marco Casalegno fece diversi schizzi, i massi di “Polvere di Stelle” furono così citati: «Si, è vero esistono dei passaggi segnati con frecce di vernice sul piano di Balma Massiet, senza però arrivare alla monotona conclusione di un circuito. In fondo è meglio così, lasciando all’occasione il pretesto di disimpegnarsi, per sentire la serena pace e il suggestivo fascino del vallone: la saggezza la si impara vedendo e dando una risposta al perché del nostro comportamento».
Gli anni Novanta
Proprio nell’anno della morte di Gian Carlo Grassi, nel 1991, ci capita l’occasione di riprendere l’attività di bouldering nel vallone di Sea. Fuoriusciti dai corsi di alpinismo e dal club alpino, io e Giorgio Milano siamo alla ricerca di un’esperienza associativa autonoma, autogestita e indipendente. In quel periodo, che si spingerà fino al 1993, dividiamo la nostra attività tra le “grandi” salite nel gruppo del Monte Bianco, le goulotte invernali e le pacifiche arrampicate di ricerca nella Val Sangone e nelle Valli di Lanzo. Ci viene l’idea di fondare un gruppo, legato soprattutto alle montagne della Val Grande, che in qualche modo sarà l’archetipo dei “Rocciatori Val di Sea” e delle associazioni che seguiranno.
Lo chiamiamo “Gruppo Alta Montagna Val Grande”, senza l’intenzione di scimmiottare il celebre ed elitario “Groupe de Haute Montagne” con sede a Chamonix e neppure lo storico “Gruppo Alta Montagna” nato tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta, proprio in seno al Cai-Uget di Torino. Anche se in quest’ultimo caso un filo di malcelata provocazione c’è. Non siamo per niente interessati a un discorso esclusivo e settario, al contrario, ci piacerebbe ridare ossigeno a un alpinismo che, nelle Valli di Lanzo, dopo la morte di Gian Carlo, si è quasi del tutto addormentato. Le giornate passate in Sea a segnare dei nuovi passaggi al Massiet, sono un gioco che ci permette di affinare i nostri piedi e le nostre dita, ma anche un aggancio con un’idea di montagna senza schiavitù o dipendenze da una disciplina piuttosto che da un altra. Le tante linee nuove, spesso dai nomi irriverenti e burloni, con altri più “seri”, sono raccolte in una piccola pubblicazione autoprodotta intitolata “Polvere di Stelle”. Giorgio ricorda così quei giorni.
«Come passa il tempo, quando ci si diverte, eh?” Quante volte abbiamo sentito dire o pronunciato noi questa frase, il più delle volte con tono autoironico, mentre impegnati in attività che pesavano guardavamo l’orologio che finalmente segnava la fine del supplizio. Già, il tempo, questa cosa astratta che noi amiamo definire in ore e dividere in parti sempre più piccole per misurare le nostre prestazioni, sapere chi vince o chi perde, chi arriva per primo. Se ci si riflette un attimo, si arriva alla conclusione che il Tempo, ora scritto maiuscolo, è veramente il padrone di tutti i poteri. Può decidere quando, e decidendo quando per tutte le cose determina anche il se. Lo spazio, invece, noi lo misuriamo a metri cubi, per dargli una fisionomia,
La prima guida autoprodotta de massi di Polvere di Stelle e della Val Grande
ed abbiamo nella testa l’idea che un metro cubo di materia non sia classificabile come “polvere”. Per noi, esseri dalla visione assolutamente antropocentrica, la polvere è roba piccola, fastidiosa e insignificante. Non saprei dire se il Tempo ha le nostre stesse idee sulle proporzioni e neppure saprei dire quanto tempo dei nostri orologi ha utilizzato per staccare e far cadere dall’alto delle bastionate, circostanti il vallone di Sea, quelle parti che noi ora chiamiamo Polvere di Stelle, ma se ben si guarda, non si può negare che abbia fatto un buon lavoro. Allora giochiamoci, con questa polvere del tempo, non guardiamo gli orologi e neppure quanti metri cubi di materia debbano esserci per poter rendere “serio” il gioco e proviamo a cercare qualche movimento lungo queste brevi lunghe placche, strapiombi, creste e fessure che il
Tempo ha deciso di creare a portata di mano, vicino al torrente, comodamente lungo il percorso di Sea.
M. Blatto su ‘L’ultima stella alpina’ 6b+ Gias Nuovo
Non eravamo i primi, seguendo la nostra logica dell’orologio e del calendario, ma non era importante. Ci si trovava lì perché il Tempo aveva fatto così i suoi ragionamenti, ed in quel periodo la voglia di inventare frasi per “battezzare” le vie di scalata era almeno pari a quella di realizzarle, sovente ci si ispirava a fatti e personaggi concreti: forse era anche quello un modo per fissare una data, un periodo, un modo di pensare. Nacquero così frasi palesi oppure volutamente occulte, dedicate a chi poteva o voleva capirne il significato. Scherzose o romantiche, terra terra come quel “pan e toma” che è stato il gradito spuntino di
una giornata, oppure “le suole (non) tengono” o “l’idiota” che non era un omaggio a Dostoevskij ma a chi sappiamo noi, ed altre come “scapperò con Carla Bruni”, che per quanto si sperasse, in Sea non sarebbe mai passata. Chissà se oggi, dopo che il Tempo ci ha svelato le sue doti musicali, rischieremmo ancora la fuga.
Anni Novanta, M.Blatto sul Traverso del Castelletto 6b+
Fissare il tempo sulla carta era meno agevole rispetto ad oggi, era disegno a mano libera, forbici colla e pinzatrice, fotocopiatrice. Un lavoro. Ma era come ritrovarsi in quel luogo, prolungare il tempo che il Tempo ci aveva concesso e ridere nuovamente di quelle frasi, di quelle dediche. Passaggi su massi, polvere di quelle stelle che cingono Sea, passaggi di un percorso che ci fa capire “que lou Temp es, s’em nous
que passem” (il Tempo è, siamo noi a passare). ».
Nel 1993 il circuito si arricchì di molte linee impegnative, anche sulla riva destra del torrente, presso le stalle dell’alpeggio del Massiet. Con Angelo Siri e Aldo Morittu, ci dedicammo parecchio all’esplorazione delle possibilità “sassistiche” del Vallone di Sea e del pianoro della Gura. Spesso con il contributo di Giovannino Massari. In quegli anni Angelo frequentava molto Fontainebleau, e da vero “bleusard” aveva sviluppato una tecnica sopraffina, specialmente sui passaggi dove occorre molta forza di dita. Dal canto mio, nella seconda metà degli anni Novanta, l’alpinismo aveva assorbito ogni mio spazio di tempo ma, sempre, appena ne avevo la possibilità, continuavo a coltivare quel giardino roccioso posto tra rododendri e cascate, nel pianoro del Massiet. Non sono mai stato molto forte nelle dita e di conseguenza i piedi li ho sempre usati piuttosto bene. I passaggi segnati da me in quegli anni sono quindi molto delicati e tecnici, e rappresentano un bel banco di prova per chi vorrà cimentarsi con le più difficili vie di placca dello “Specchio di Iside”.
Il nuovo millennio
Nell’estate del 2009 mi venne l’idea di organizzare un raduno nel Vallone di Sea, con lo scopo di riportare l’attenzione in quel luogo che non riscuoteva più il successo di un tempo, fatta eccezione per i pochi scalatori affezionati. Il film “Sogno di Sea” che avevamo da poco realizzato con Angelo Siri e Aldo Morittu, poteva essere una buona occasione per riaprire un discorso interrotto. In quegli anni facevo l’istruttore presso la palestra di arrampicata della “Società Arrampicata Sportiva Palavela di Torino” (S.A.S.P), e la maggior parte degli amici erano “boulderisti”, poco avvezzi alla corda e tanto meno alle vie “tradizionali” che nella maggior parte dei casi caratterizzavano Sea. Fu così inevitabile organizzare l’incontro a “Polvere di Stelle”, dove nel frattempo avevo anche chiodato anche qualche breve tiro sui massi più alti. Il successo fu così inaspettato che l’anno successivo replicammo, fino ad arrivare a ben otto edizioni che richiamarono questa volta anche tanti arrampicatori sulle pareti. Iniziammo a strutturare di più il raduno, a fare delle magliette, inizialmente con i disegni del fumettista di montagna Claudio Getto e, dal 2011, iniziò a tenersi il “Polvere di Stelle Bouldering Contest”, che prevedeva la soluzione di tre blocchi difficili, tracciati dagli specialisti dell’area torinese di questa disciplina. Il circuito, negli anni, si è così arricchito di moltissimi passaggi difficili, risolti nel corso del tempo da nomi celebri di questa disciplina.
2013 Massimo Cedrino manca per un soffio l’uscita di ‘L’enigma del Droide’ 6c
Negli ultimi anni il bouldering sta conoscendo una nuova fase esplorativa nella parte più alta del vallone, presso i Piani di Sea e il Gias Nuovo. A duemila metri di altezza e al cospetto della gigantesca parete nord dell’Albaron di Sea, da alcuni anni ho iniziato a segnare dei passaggi molto belli. Le due ore di marcia richieste per arrivare fin lassù scoraggiano un po’ gli appassionati di questa disciplina, che amano gli avvicinamenti relativamente brevi. Tuttavia il bivacco “modello Aquilotto” presso l’alpeggio del Gias Nuovo, può offrire possibilità di pernotto in un luogo incantato, dove tutto è ancora da esplorare, ben oltre i sessanta passaggi segnati da me. Dopo tanti anni mi dico sempre che dovrei finalmente decidermi a realizzare una pubblicazione esaustiva che censisca tutti i massi del vallone. Sarebbe un modo per conservarne la storia e aprire in futuro nuove frontiere. Il mio essere “alpinista” e non certo un “sassista”, mi ha sempre frenato un po’. O forse, più semplicemente, sono consapevole che il bouldering nel vallone non abbia ancora conosciuto la parola “fine” e che vale quindi la pena aspettare ancora un po’.
2014 Alessandro Palma supera ’44 Magnum’ 7c
Nel momento in cui scrivo quest’articolo, è in corso una battaglia per preservare il vallone dalla realizzazione di una strada, per ora concepita fino all’alpe del Massiet. Una strada di per sé non supportata da un vero progetto organico e non sorretta da una chiara analisi costi benefici che potrebbe motivarne l’esistenza. La bellezza di questo vallone, forse anche la sua vera ricchezza, sta nel fatto che il tempo sembra in qualche modo essersi fermato. Il silenzio, rotto d’estate soltanto dal rumore delle acque cristalline che derivano dalla fusione dei ghiacciai di Sea (o ciò che ne resta), è l’unico commento a una tavolozza di suggestioni della natura. Basterà salire al Massiet in una bella serata estiva o in un pomeriggio d’autunno e raggiungere, dal lato più agevole, la sommità di uno dei tanti massi tavolari disseminati nei prati. Sembrano fatti apposta per fermarsi, osservare e pensare. Sarà facile, così, correre a ritroso nel tempo con l’immaginazione, lasciarsi rapire dalle “strane rocce” e tornare alla magia e all’essenza delle “Antiche Sere”. In quell’angolo isolato di Alpi dove un gruppo d’irriducibili ha fatto di Sea il proprio mondo.